Wednesday, August 29, 2012

I luoghi dimenticati: la vita in carcere

Una citatissima frase di Dostoevskij dice che il grado di civiltà di una società si giudica entrando nelle sue carceri. "Non luoghi", roccaforti dimenticate, che si stagliano sempre a pochi chilometri o in mezzo ai centri abitati.

Un documentario di Valentina Ascione e Simone Sapienzara (per la webtv Fai Notizia) entra con una telecamera nelle carceri in Italia, dove vivono ogni giorno, sovraffollati, 67mila detenuti. Il video è uno dei finalisti del premio Ilaria Alpi, in programma i primi di settembre a Riccione.



Tuesday, August 28, 2012

WTB: Abitudini alimentari insostenibili

Una delle notizie più rimbalzate dal web oggi è quella -dal titolo furbo- di Repubblica secondo cui dal 2050 dovremo essere tutti vegetariani per non andare incontro a guerre e carestie.

L'articolo prende spunto da una ricerca di un gruppo di scienziati che ha quantificato il peso delle nostre abitudini alimentari, che già oggi non sarebbero (ovviamente?) sostenibili se fossero comuni non solo all'occidente, ma a tutta la popolazione mondiale.

(Un allevamento intensivo - fonte Wikipedia)


Ecco un estratto de l'articolo di Enrico Franceschini di Repubblica:

"Se l’umanità continua a cibarsi ai ritmi attuali, e soprattutto seguendo la dieta odierna, entro il 2050 ci aspettano catastrofiche carenze alimentari. E per catastrofe si intende qualcosa di molto peggio della tutt’altro che rosea realtà attuale: già oggi, secondo cifre dell’Onu, 900 milioni di persone vanno a letto affamate tutte le sere e 2 miliardi sono da considerare malnutrite.

Ma nei prossimi quattro decenni la terra passerà da 7 miliardi di umani a 9 miliardi, un aumento netto di 2 miliardi che renderà ancora più drammatica la carenza di cibo. E allora che fare? La risposta degli studiosi di Stoccolma, il cui rapporto è stato anticipato ieri dal quotidiano Guardian di Londra, è netta: il mondo deve cambiare dieta. Dobbiamo diventare tutti vegetariani, o quasi.

Attualmente ricaviamo il 20 per cento delle proteine necessarie al nostro fabbisogno da prodotti derivati dagli animali, che si tratti di carne o latticini; ma questa percentuale dovrà scendere al 5 per cento o forse anche a meno entro il 2050, se vorremo evitare carestie e conflitti causati dalla scarsità di cibo. Il problema di partenza è l’acqua. Già oggi scarseggia e in molte regioni è un bene più prezioso del petrolio per la sopravvivenza della nostra specie, ma fra quarant’anni non basterà sicuramente per produrre gli alimenti necessari a 9 miliardi di terrestri" (leggi tutto l'articolo su Repubblica.it)

Qui l'articolo originale del Guardian e qui il link al rapporto del Stockholm International Water Institute

Friday, August 24, 2012

WTB: Ancora incendi, ecco chi li accende secondo un'inchiesta de L'Espresso

Una situazione sfuggita di mano da mesi, che dovrebbe forse essere considerata emergenza nazionale, con migliaia e migliaia di ettari di territorio "pregiato" del Belpaese finito letteralmente in fumo.
Torniamo sulla questione degli incendi, che non danno regua a tutto lo stivale, grazie a un'inchiesta de L'Espresso che riesce a dare qualche risposta a "chi siano questi piromani", contribuendo a far luce su questo spesso inspiegabile fenomeno e descrivendo la figura del "reazionario rurale", "anziano, incolto" e che "ha interessi immediati: la sopravvivenza della sua vita da sopravvissuto. L’erba per il pascolo, la verdura selvatica da trovare in fretta, la selvaggina da stanare".




"Chi è l’uomo che incendia l’Italia d’estate? Chi appicca fuochi sempre più pericolosi per la comunità? Spesso è un pastore senza riferimenti, non ha famiglia né rapporti sociali. Un campo abbandonato per lui è terra da rapinare, serve l’erba per vacche e capre. Sterpaglie, spine, ortiche si possono portare via in un attimo e quasi gratis: accendino e fiamme in tre, quattro punti. Un lavoro di un quarto d’ ora. Poi la fuga in un territorio conosciuto, che può diventare nascondiglio. Ma dopo il campo abbandonato le fiamme attaccano i boschi, la macchia mediterranea, i frutteti, le vigne, i villaggi turistici, i campeggi, sfiorano i paesi e scendono in città. Se viene fermato - e dal 2000 a oggi le denunce sono diventate quattrocento l’anno, gli arresti almeno dieci - il reazionario rurale rischia sul serio fino a dieci anni di galera. Ma non confessa mai e appena gli investigatori della Forestale tornano al comando per verbalizzare la denuncia, lui riparte. 'Dovete bruciare tutti', urlò un contadino siciliano dopo aver provocato tre morti, distrutto un campeggio."

(di Corrado Zunino - Leggi tutto sul sito di Repubblica - foto da Il Corriere D'Abruzzo)

Leggi anche su WTB: L'Italia in fiamme. Chi sono i piromani?

Tuesday, August 21, 2012

WTB: Prostituzione e costrizione

Montecatini Terme, Toscana. Arrivano a giorni i riflettori e le ragazze in corsa per Miss Italia nella piccola città, storica località termale, culla del turismo stagionale tra i più chic del paese.

Ma tra le strade meno illuminate dalle vetrine scintillanti dei negozi, nella periferia tutto intorno alla piccola, benestante cittadina, un numero davvero sorprendente di prostitute pullula tra le ombre dei capannoni.

Sorpreso da questa scena, un piccolo estratto di un articolo che racconta la storia che c'era qualche anno fa dietro una ragazza di strada.


"Sequestro e violenza sessuale: questi i reati a carico di D.C., 32 anni, romena, arrestata nei giorni scorsi a Bucarest in Romania, e presa in consengna ieri dai carabinieri della Compagnia di Assisi a Roma dopo l'estradizione. A un'anno di distanza finisce così in manette l'ultima dei cinque componenti di una banda che a dicembre del 2009 aveva segregato ad Assisi una giovane 23 enne di nazionalità rumena, attratta in Italia con l'inganno, per costringerla alla prostituzione. L'indagine che ne era scaturita era stata denominata Christmas, dopo che la condizione di segregazione della ragazza era stata scoperta la notte della vigilia.  Altri tre responsabili, due cittadini albanesi e una donna rumena erano stati arrestati lo scorso febbraio, mentre un quarto, 27enne di nazionalità rumena, era finito in manette solo nei giorni scorsi a Lubiana, in Slovenia. (...) Secondo la riocostruzione del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, Alessia Tavarnesi, la giovane rumena era stata attirata in Italia con la falsa promessa di un lavoro. Dopo alcuni giorni dall'arrivo in Italia della giovane, gli aguzzini le avevano detto che al posto dell'impiego promesso avrebbe dovuto lavorare in un night club di Perugia e prostituirsi. La giovane venne poi violentata e fu costretta contro la sua volontà ad avere rapporti sessuali con i componenti della banda, che pretendevano la consegna dei soldi guadagnati, picchiandola anche con violenza. All'inizio di dicembre la donna era stata costretta a prostituirsi anche per strada a Perugia per incrementare i guadagni, con minacce di morte per lei e per i suoi familiari se solo avesse pensato alla fuga."

(Leggi l'articolo completo sul sito Tuttoggi.info)

Friday, August 10, 2012

WTB: L'Italia in fiamme. Chi sono i piromani?


Sicilia, Lazio, Toscana, Umbria, Ligura, Abbruzzo... L’Italia è da mesi tra le fiamme con dei record assoluti di ettari e ettari di parchi, boschi, riserve naturali carbonizzati, annientati. Solo nel mese di luglio nella sola Toscana sono andati in fumo 1170 ettari in circa 190 roghi. La meravigliosa riserva dello Zingaro, tra Palermo e Trapani, è stata sostanzialmente annientata nello stesso mese, mentre anche la provincia di Roma ha segnato un rcord negativo con con 400 ettari carbonizzati in 190 incendi.


 Tra olimpiadi e crisi economica passa in secondo piano in queste settimane la tremenda emergenza nazionale che sta attraversando il nostro paese, con il risultato che quasi non esiste un dibattito su “chi” o “cosa” dia origine alle fiamme, una domanda cui pochi, tra le persone di strada, sanno darsi una risposta.

La maggior parte dei roghi è di origine dolosa con motivazioni che, secondo le diverse dinamiche di alcuni episodi, sembrano da ricondursi  alle manie di potenza di qualche individuo mentre altre volte hanno come obbiettivo la pura speculazione edilizia.

“A Monte Mario è caccia agli incendiari”, scrive ad esempio Rinaldo Frignani sul Corriere della Sera, relativamente alla situazione nella capitale. “Gli investigatori della Forestale, diretti dal vice questore aggiunto Marco Mei, hanno individuato il focolaio da dove sono partite le fiamme: un cespuglio fra gli alberi, a pochi metri da una cisterna dell'acqua e da un bocchettone anti-incendio parzialmente bruciato. Come se i piromani avessero cercato di proposito di ritardare il più possibile l'intervento dei soccorritori. Anche questo rogo, spento in tre ore, finirà probabilmente nel fascicolo contro ignoti aperto dalla procura che indaga sull'altro incendio nella riserva del 31 luglio scorso, sui tre episodi successivi (forse accidentali) e su quello del giorno precedente a Monte Ciocci per il quale sono sospettati tre ragazzi attualmente ricercati”.

Altri incendi con piromani fermati si sono registrati nell’hinterland di Roma (un uomo preso mentre appiccava delle sterpaglie con un liquido infiammabile), in Liguria (un anziano fermato con dei barattoli di vernice usati come ‘miccia’ per accendere le fiamme) e in Umbria (sospetti su un altro uomo di mezza età per le fiamme che hanno sventrato un’intera montagna nel ternano). 

 (foto da Me.SimpleSpot.it)

HOTEL BELVEDERE  Ci sono poi gli incendi dettati dalla speculazione, dall’edilizia nelle aree verdi più belle del paese, quelle più colpite dalle fiamme e insieme più ghiotte per realizzare camping, villaggi e hotel. Paesaggi incontaminati dove i vincoli alla costruzione possono essere rapidamente carbonizzati insieme agli alberi e alla vegetazione. 

Secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente Nazionale, “Sarebbe necessario anche un approfondimento su chi sono oggi gli incendiari, perché gli interessi in gioco sono molteplici e non legati solo alla speculazione edilizia''.
“La maggior parte degli incendi che interessano le aree boschive è di origine dolosa”, ha detto Cogliati Dezza in riferimento all’emergenza incendi in Italia. “Per questo motivo è fondamentale da parte delle amministrazioni comunali la piena applicazione della legge quadro 353 del 2000 e la realizzazione del catasto delle aree percorse dal fuoco, unico vero strumento per limitare a monte la possibilità di speculare sulle aree bruciate”. 

Come spiega lo stesso Cogliati Dozza, “attraverso il catasto è possibile imporre vincoli e limitazioni per ogni modifica della destinazione d'uso delle aree bruciate. Tuttavia nel nostro Paese, com’è emerso da un'indagine di Legambiente, solo il 50% dei comuni ha aggiornato il catasto al 2010 e solo il 5% delle amministrazioni comunali applica pienamente la legge quadro in materia di incendi boschivi, che prevede oltre alla realizzazione del catasto, anche una costante attività di prevenzione e tutela del territorio”.

(FdA)

Wednesday, August 8, 2012

WTB: NO LOGO di Naomi Klein, il marketing del sistema economico globale

La quarta di copertina lo definisce la "bibbia di tutti i movimenti no global". Più che bibbia, forse il libro No Logo della giornalista canadese Noemi Klein può essere descritto come un'opera che, con passo carico di dtereminazione e uno "zaino" di idee politiche, tenta di addentrarsi nell'intricato mondo dei loghi, della comunicazione aziendale, della promozione e della pubblicità, proprio negli ultimi mesi di quegli anni novanta che segnavano il passaggio dalla fase industriale del '900 a quella della comunicazione globale.

Come mai dei prodotti vengono fabbricati in distretti industriali militarizzati nel sud est asiatico e poi importati con loghi di marche occidentali? Chi ha fissato le regole del mercato libero e globalizzato, che portano una oliva che ha fatto centinaia di chilometri a costare meno di quella cresciuta sull'albero dietro casa, che viene invece buttata? Cosa c'è dietro questo mercato globale governato dal marketing?

Ecco un'estratto all'introduzione dell'ultima edizione del fortunato volume della Klein, che in mezzo a trante interpretazioni ha il merito di riuscire a dare parziale risposta ad alcune di queste domande.

dal sito "Oltre il muro"


"Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete.

Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea. Altre aziende hanno scelto invece il modello Microsoft: conservare un nucleo strettamente controllato di azionisti-dipendenti che gestiscono “l’attività centrale” dell’azienda ed esternalizzare tutto il resto, dalla gestione della posta alla scrittura del codice informatico, affidandolo a lavoratori precari. Alcuni le hanno chiamate hollow corporations, imprese vuote, perché queste aziende ristrutturate sembravano avere un unico obiettivo: trascendere il mondo fisico per trasformarsi in un marchio incorporeo. Come ha detto l’esperto di gestione aziendale Tom Peters: “È da stupidi possedere cose!”.

Mi piaceva studiare i marchi come Nike o Starbucks perché in un attimo ti ritrovavi a parlare di tutto tranne che di marketing: la deregolamentazione della produzione globale, l’agricoltura industriale, i prezzi delle materie prime. E da qui arrivavi al legame tra politica e denaro, che si era cementato in regole da far west grazie a una serie di accordi di libero scambio e al sostegno della Wto, al punto che attenersi a quelle regole è diventato il requisito indispensabile per ricevere i prestiti dal Fondo monetario internazionale. In poche parole, finivi per parlare di come funziona il mondo."

(Naomi Klein all'introduzione dell'edizione 2011 di No Logo, ed. Rizzoli)


Monday, August 6, 2012

WTB: Ikea, l'Italia dello sviluppo componibile

L'impatto tra pro e contro dell'avanzata Ikea nello stivale

di Francesco de Augustinis

SINTESI 

Nel 2011 Ikea ha iniziato una campagna di espansione in Italia, che porterà la multinazionale nei prossimi anni ad aprire tra i 10 e i 15 nuovi ipermercati in tutto il Paese, a partire da Catania (2011), Pescara (2012), Treviso e Perugia.

Ogni apertura di uno store Ikea comporta l'entusiasmo delle amministrazioni locali, che la considerano un'imperdibile occasione di sviluppo locale, e puntuali critiche di commercianti e produttori, che temono la concorrenza del colosso svedese.

SVILUPPO COMPONIBILE L'Ikea impiega in Italia 6243 dipendenti, a cui vano aggiunte circa 1800 persone che lavorano nell'indotto diretto dei negozi. Ma l'espansione del colosso ha un impatto soprattutto sul mercato del mobile, uno dei più tipici del “made in Italy”: da una parte, favorisce le ditte italiane che producono circa il 30 per cento delle merci Ikea vendute nel Paese; dall'altra, le ditte più piccole devono fare i conti con una sottrazione di fatturato a volte insostenibile.


ARTICOLO ESTESO: 

Qual'è l'impatto Ikea sull'economia delle regioni italiane e su quella del Paese? Nei prossimi anni Ikea progetta di aumentare notevolmente la propria presenza in Italia, aprendo tra i 10 e i 15 nuovi punti vendita in tutta la penisola, che si andranno ad aggiugere ai 19 centri già operativi da Milano a Bari, passando per Padova, Firenze, Roma e Napoli. Dopo l'apertura di Catania e l'ampliamento di Milano-Carugate del 2011, nel 2012 la multinazionale aprirà a San Giovanni Teatino (Pescara) e a breve termine a Casale sul Sile (Treviso) e San Martino in Campo (Perugia) e poi a Verona e un secondo store nel torinese.



L'apertura di ogni punto vendita Ikea è accolta con estremo favore dalle amministrazioni locali, che la considerano grande motivo di sviluppo economico. A Torino, provincia e regione sono in prima linea per trovare aree industirali idonee, dirottando su questo fronte ingenti risorse comunitarie. A Perugia l'arrivo di Ikea è, per l'amministrazione comunale, “un'occasione imperdibile di rilancio dell'economia”, tanto che per favorire l'insediamento è stato tolto il vincolo ambientale da una zona protetta e si è siglato un accordo con i comuni limitrofi per creare condizioni favorevoli all'arrivo di altre multinazionali.

 300 ADDETTI PER NEGOZIO Ma qual'è il vero impatto sul territorio di uno store Ikea? Ad ogni nuova apertura la domanda viene sollevata dai rappresentanti di commercianti e produttori locali di mobili, preoccupati per la concorrenza del colosso svedese, come l'Ascom-Confcommercio di Treviso, secondo cui “ogni assunto Ikea causa la perdita di 2,5 posti di lavoro”. Secondo i dati forniti dall'azienda, ogni negozio Ikea impiega mediamente tra i 200 e i 300 occupati, più un “indotto diretto” di circa 80-100 persone che lavorano per le attività collegate, come gli addetti alle pulizie, i giardinieri, i carrellisti e i dipendenti delle ditte di trasporto convenzionate.

I FORNITORI ITALIANI A questa cifra Ikea ne aggiunge una seconda, “altre 2.500 unità sulla parte produttiva” in tutto il Paese, con riferimento alle ditte italiane che lavorano come fornitori. Come il marketing Ikea sottolinea spesso, ditte italiane forniscono circa il 30 per cento (in termini di fatturato) dei prodotti in vendita nei 19 store italiani, l'8 per cento circa di quelli ventuti nel mondo intero. Secondo quanto riportato nell'ultimo bilancio della società, su 165 milioni di debiti verso i fornitori del 2010, 62 milioni sono destinati all'Italia, 14 milioni ad altri paesi Cee e i restanti 89 milioni a fornitori extraCee (in testa i paesi asiatici).



FORNITORI ITALIANI NEL NORDEST L'impatto Ikea sull'economia di una regione dipende dalla presenza nel tessuto locale di aziende che lavorano per Ikea come fornitori. “La scelta delle aziende fornitrici in Italia è affidata ad una società apposita, Ikea Trading, che ha sede di fronte allo store di Milano Corsico”, spiega una dipendente di produzione Ikea. “La scelta dei produttori non c'entra ovviamente con l'apertura di nuovi negozi. Sono proprio società diverse che se ne occupano. (…) La scelta viene fatta tra le aziende che dimostrano maggiore convenienza, nel rispetto dell''Ikea Way'”, spiega ancora la dipendente, secondo cui i produttori sono concentrati tra nord e nordest dello stivale: “Considerato che qualsiasi prodotto Ikea prima di raggiungere un negozio passa per il deposito centrale a Piacenza, non è logisticamente utile avere fornitori in Sicilia”.
A livello territoriale, l'indotto di produzione quindi ricade in Triveneto, dove si producono cucine, o in Piemonte, dove pochi giorni fa una multinazionale brianzola che produce in Cina, Brasile e Slovacchia ha usufruito di incentivi regionali per aprire uno stabilimento da 200 addetti per produrre cassetti Ikea a Biella. Ma al contrario non ricade probabilmente in Sicilia, dove il nuovo store di Catania è schizzato subito al secondo posto nazionale per vendite, né in Umbria, dove la multinazionale ha dovuto promettere la realizzazione di un “corner” per i prodotti artigianali locali come le ceramiche di Deruta.



LA CONCORRENZA ALLE IMPRESE Sia a livello regionale che nazionale, l'impatto dell'espansione Ikea comporta un “costo concorrenza” per le impese locali. Nel caso dell'Umbria, ad esempio, la regione secondo Federmobili conta circa “300 imprese del mobile e dell'arredamento” con un fatturato complessivo di 288 milioni di euro e circa 2065 addetti. Stando al bilancio della società, un punto vendita Ikea fattura in media 86,3 milioni di euro.
 La cifra, probabilmente inferiore a Perugia considerata la minore densità abitativa, andrebbe in buona parte ad erodere questo mercato, considerato il trend negativo dell'acquisto di mobili delle famiglie in Italia (-8,4 per cento), con le normali conseguenze occupazionali e di sviluppo economico. Con una semplice proporzione, una sottrazione di “soli” 50 milioni al mercato umbro potrebbe corrispondere alla chiusura di 52 ditte locali e alla perdita di 358 posti circa.

Friday, August 3, 2012

WTB, AGRICOLTURA E SEMENTI nell'industria alimentare

Ricerca, scienza, multinazionali e industria alimentare, politica. Sono tutti gli attori insospettati del sistema che governa i campi e la produzione agricola alimentare di tutto il mondo.

Agrofarmaci e aziende farmaceutiche, sementi sotto copyright, quote agricole, sono gli ingredienti di un mondo la cui comprensione sfugge al consumatore al banco delle verdure di un ipermercato.



Un articolo di Maurizio Blondet racconta -con approccio critico- un piccolo episodio, sottratto all'attenzione del mainstream, di questa lotta quotidiana tra i banchi della politica, per stabilire regole che influiscono sul presente e sul futuro degli alimenti.

"Con sentenza del 12 luglio, la Corte di Giustizia della UE ha confermato il divieto di commercializzare le sementi delle varietà tradizionali e diversificate che non sono iscritte nel catalogo ufficiale europeo.

Fin dal 1998 è in vigore una direttiva della Comunità europea che riserva la commercializzazione e lo scambio di sementi alle ditte sementiere (le note multinazionali) vietandolo agli agricoltori. Ciò che i contadini hanno fatto per millenni è diventato così, di colpo, un delitto (il matrimonio fra omosessuali è invece legale). Con questa sentenza sono messe fuorilegge anche le associazioni di volontari impegnati nel recupero delle varietà antiche e tradizionali – ne esistono di benemerite anche in Italia – che commettono appunto questo crimine: preservano e distribuiscono a chi le chiede sementi fuori del catalogo ufficiale.

La sentenza ha preso di mira specificamente una di queste associazioni, la francese (ma nota in tutto il mondo) Kokopelli, che si batte per la biodiversità. Già nel 2008 questa associazione era stata condannata, per scambio di sementi antiche, a una multa di 35 mila euro: esosa punizione per un gruppo di volontariato, volta a renderne impossibile di continuare l’attività. Invece l’attività è continuata, grazie allo sforzo e ai contributi dei volontari. Sicchè oggi, un’altra grossa società che l’ha trascinata in giudizio davanti alla Corte d’appello di Nancy, la «Graines Baumaux», approfittando della sentenza della Corte europea ha chiesto ai giudici francesi di imporre a Kokopelli di pagare 100 mila euro per danni e inoltre – esplicitamente – «la cessazione di tutte le attività dell’associazione», pericolosa per il business , alla faccia della libertà d’opinione e d’azione."
(leggi su Effedieffe.com- articolo intero a pagamento)

Una questione ben nota a chi conosce le vicissitudini della Monsanto e della lotta per il copyright sui semi e sugli ogm, raccontata in questo documentario: